Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete
La domanda posta a Gesù da Giovanni – tramite i suoi discepoli – non sorge da un certo dubbio? Non era Giovanni incarcerato nei dubbi sulla venuta del Figlio dell’uomo, lui che poco prima aveva dichiarato Gesù come il Figlio dell’uomo, Agnello di Dio e subito dopo invia i suoi discepoli a chiedere sulla sua identità? Forse il carcere non va al di là di quello fisico? Non c’è forse qui un altro senso nascosto che ci fa pensare ai limiti della nostra conoscenza umana che ci pone dinanzi al dubbio? Non è forse questa notte oscura del Battista un invito ad entrare nella gnosis di Dio, una nuova profonda gnosi che ci porta ad esclamare nello Spirito che geme dentro di noi: Abbà! Padre?
La risposta di Gesù di fronte a questa domanda di Giovanni presenta sinteticamente l’iter mistico che in fine porta l’uomo a godere dell’unione con l’Amore! L’azione di Gesù è un mandato: “andate”. Ci pone in cammino l’iniziativa di Dio che ci sfida ad uscire dalla propria terra, dalla propria sicurezza, dalla propria vita perché in essa si manifesti Dio in una nuova conoscenza mistica, non al di là dell’ordinario, ma straordinariamente radicata nell’ordinario quotidiano.
Questo iter ridona all’uomo la sua vista. Come Bartimeo (Mc 10), il passare di Gesù dalla nostra strada ci fa spostare dal lato per metterci in mezzo/piena strada per chiedere da Lui la guarigione e seguirlo nel perfezionamento della propria vita. La mia cecità – il dubbio del Battista – diviene quindi un’occasione per sradicarmi dal proprio manto di sicurezza e aggrapparmi di più a Gesù, il mio unico e vero Amore. Il riconoscere la propria debolezza, quindi, è in essenza un porsi in cammino, è un’uscire dalla propria terra, come Abram da Ur, per poi entrare nel mistero del essere radicato nella terra di Dio, cioè l’amore disinteressato, la fede, e la speranza viva.
Quanto più l’uomo si avvicina alla vetta del monte, tanto più egli riconosce i propri limiti. L’uomo rimane sempre tale, e quindi limitato. È nella misura in cui si sperimentano l’amore e la venuta mistica di Dio al centro dell’anima che l’uomo scopre il suo essere capax Dei. Dio vuole che ci purifichiamo dai nostri limiti, vuole che noi ascendiamo verso di Lui. È per questo che egli è disceso fino a noi. E tutto questo a propria scelta libera. È nella misura in cui udiamo Cristo, Parola Vivente, che possiamo lasciarci trasformare in Lui, in un’atteggiamento simultaneamente attivo e passivo!
L’uomo quindi sperimenta l’amore di Dio verso di lui come una morte appassionata – e morte di croce (Fil 2:5-11) – in cui si trova la vita nuova, la nostra divinizzazione. La nostra vita così sarebbe l’unico vangelo che molti leggono, il vangelo che annunzia loro che Dio è un Dio-con-noi. La nostra vita diverrebbe così quell’annuncio al quale ci rimanda Gesù e in cui egli sta con noi fino alla fine dei tempi. L’esito di questo percorso? Il prendere coscienza di chi sia il mio Giovanni dubbioso, che cammina nella notte, e che è bisognoso di rapportarsi amorosamente con Gesù.
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